lunedì 10 maggio 2010

IL CORPO ODIATO, di Nicola Lecca, Mondadori



Nicola Lecca è un giovane (classe 1976) scrittore cagliaritano, finalista al Premio Strega con il lavoro d'esordio Concerti senza orchestra, e che ha proseguito il proprio percorso artistico inanellando una serie ammirevole di pubblicazioni, riconoscimenti ed esperienze personali, tra cui decine di viaggi e soggiorni in svariati angoli d'Europa: da Reykjavík, dove ha ambientato alcune delle più belle cose da lui scritte, a Parigi, dove ha fatto lo stesso con questo intenso romanzo, Il corpo odiato, presentandoci le pagine di diario del diciannovenne Gabriele, in fuga dal vuoto della provincia italiana.

"Bisognerebbe sempre scrivere in giornate come queste. È comunque un esercizio.
Le parole scritte fanno più paura: vengono fuori, e nel prendere forma diventano definitive".


Parole che leggeremo da marzo, quando il diario comincia con le righe appena citate, fino a marzo, quando il diario (e non solo) finisce.
Undici capitoli capitoli per dodici mesi. Undici tasselli di un mosaico che il lettore riesce a compendere solo a tratti nella sua interezza - e mai come in questo caso si ha l'impressione che il dettagliato risvolto di copertina sia parte integrante dell'opera, soprattutto per quanto riguarda i chiarimenti relativi a come gli eventi si sono messi in moto. Ecco quella che è forse la sola colpa imputabile a questo romanzo: non rappresentare l'incipit di un'opera dal respiro più ampio.

Un'opera immaginaria che avrei davvero letto molto ma molto volentieri, e invece mi sono dovuto accontentare di bissare in pochi mesi la lettura di questo libro. Normale quindi che per raccontarlo si incontrino le stesse difficoltà cui si faceva cenno nell'articolo su Six Shots, un paio di post addietro: trovare belle parole è più difficile che trovarne di brutte.

Per fortuna qui non c'è bisogno di brutte parole .

Anche perchè l'autore ha saputo trattare temi delicati come anoressia, omosessualità, abusi, eccessi, accettazione e non accettazione di sè senza ricorrere a un linguaggio dirty, ma muovendosi sempre nei territori di un linguaggio alto che, pur nella sua profondità, non tiene mai a distanza il lettore, anche il più distratto, e non finisce mai con l'autocompiacersi.

La scrittura di Lecca prende le emozioni e le sbatte in faccia, senza impachettarle e profumarle nè graffiarle più del dovuto, dando loro la forza della chiarezza e non di una violenza pulp che troppo spesso, quando la si incontra, puzza di ostentazione fine a se stessa.
E parla uno che il pulp lo adora.

Però Lansdale e Bukowsky non vanno cercati qui, sebbene non manchino amplessi sudati e dolorosi, rubati e consumati in qualche angolo buio di localacci inadatti ai palati fini.

Nel corpo odiato le assonanze che vengono in mente sono duetti di sax con le malinconiche note jazz di un lavoro come Camere separate di Piervittorio Tondelli, forse la più bella storia d'amore scritta nella nostra letteratura, magari in compagnia di Un amore di Dino Buzzati, e poco importa se ad amarsi siano persone omo o etero.
La differenza con i romanzi di cui sopra è che Lecca non sembra voler raccontare la complessità dell'amore verso un'altra persona, ma la complessità del disamore verso se stessi.

Scavare per cercare la verità può fare male, soprattutto se ci riguarda da vicino.
Credo non per caso, il libro è dedicato a Fabrizio De Andrè, "che della verità non aveva paura". E il tormentato Gabriele, alla fine del suo lungo viaggio al termine della notte tra avenue de la Montagne e place da la Bastille, sembra avere intuito il senso della lezione: "Se è vero che le parole possono curare" ci confessa in una delle ultime pagine del suo diario "io sono stato guarito da loro".

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