sabato 15 maggio 2010

MILANO A. BRANDELLI, di Andrea Ferrari, Eclisse edizioni


A. Brandelli, il personaggio creato dalla penna del bravo e giovane Andrea Ferrari, appartiene alla famiglia di investigatori dell'ispettore Ferraro di Biondillo e del Coliandro di Lucarelli.

La differenza è che Brandelli non è un poliziotto (e allora via al paragone con il Gorilla di Sandrone Dazieri), ma un figlio qualunque della classica Milano grigia e nebbiosa (entrambi gli aggettivi, per il sottoscritto, hanno un'accezione positiva, sebbene da anni non ci sia più la nebbia di una volta). E dopo la laurea, anzichè fare il bamboccione chez mamma e papà fino ai trent'anni e ammazzarsi di happy hour in Corso Como, o piuttosto che morire in un call-center, il nostro ha la bella idea di inventarsi investigatore privato.

Ma non pensate al tipico, cupo detective newyorkese con il cappello calato sugli occhi, il soprabito zuppo d'acqua e una sigaretta alla Jiggen che pende sghemba tra le labbra, proprio no. In questo romanzo non ci sono gli sbirri marci dentro e fuori di cui canta David Peace in Millenovecento83. In Milano A. Brandelli non si incontra un altro testardo Scialoja sulle tracce del Libano e del Freddo. Non è questo il posto per morti, sparatorie, indizi nascosti in fondo alla gola di cadaveri mummificati nei boschi: il giovane Brandelli è, come si direbbe all'ombra della madonnina, un pirla qualunque. Ovvero, un personaggio ben tratteggiato che non necessita di stereotipi per vivere di viva propria. E quando a un buon personaggio si accompagna una buona storia, quasi disarmante nella propria semplicità e nel levitare senza fretta o trovate artificiose, tassello dopo tassello, pagina dopo pagina, anche se a volte, come è giusto che sia, trattandosi di un freelance alle primissime armi che indaga su un caso fumoso di spionaggio industriale, non tutti i tasselli si rivelano utili alla composizione del mosaico finale.

E a proposito di finale: si tratta di una delle chiusure più spiazzanti e soddisfacenti che mi sia mai gustato.

Per tutti quelli che, come me, avrebbero desiderato che l'ultima pagina fosse sempre almeno la penultima o terzultima, la lieta novella è che ritroveremo il nostro amico in Bravo Brandelli e Milano muta, sempre editi dalla benemerita Eclissi.

Ma sin da questo fuliminante esordio la scrittura di Ferrari si mostra scorrevole, una scrittura che vuole e che sa strappare più di un sorriso, e quando serve sono anche sorrisi amari. Una scrittura che fa di Milano, con i suoi difetti e i suoi luoghi comuni, la vera protagonista di questa storia. Dalla poesia di quartieri popolari e poco conosciuti ai più come la Martesana, all'incubo ricorrente del traffico in circonvallazione, sono diversi e variegati gli elementi di questa città che prendono vita nelle parole e nei pensieri di Brandelli e del suo alter ego nel mondo reale. Di solito le cose forti si amano o si odiano. Milano no, la si deve contemporaneamente amare e detestare. Soprattutto se ci vivi.

Diverse e ben sviluppate le sottotrame, che danno ancora più spessore alla vicenda e addirittura camuffano questo noir urbano in romanzo di formazione, tanto che si finisce con il legarsi alle vicende extralavorative del protagonista quasi più che non all'indagine in corso.

Da leggersi in tram, magari il 9 o il 29, in una giornata piovosa di ottobre:
così potreste transitare davanti ai Bastioni di Porta Venezia, dove i Baustelle hanno girato il video di Un romantico a Milano (dall'album La malavita): "Mamma, che ne dici di un romantico a Milano? Tra i Manzoni preferisco quello vero... Piero"

Ben fatto, Brandelli.

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